Tango italiano

PUBBLICATO IL 5 Settembre 2007

Ho finito pochi giorni fa di leggere il libro di Rino Genovese; Tango italiano: tra Italia e Argentina, fuori dal labirinto.
Ho comprato questo libro perchè non avevo letto nulla dell’autore e per lo stesso solito futile motivo: la parola tango in copertina.

Iniziando il libro ero un pò pentita. Trovavo la lettura molto pesante e lenta. Poi mi sono addentrata nella storia e ho trovato tante idee per spunti di approfondimento su Buenos Aires e la sua storia.

Non è un libro sul tango, ma è un libro introspettivo, malinconico come un tango.
Man mano che lo leggi e ti addentri nella storia, ti senti come se stessi ballando un tango, uno di quelli struggenti, uno di quelli che ti entra dentro e che ti parla all’anima, uno di quelli che capisci che tu, il tango, lo hai sempre avuto dentro.
Non so se questo sia dovuto al tipo di scrittura che usa l’autore, o piuttosto alle emozioni vissute dal protagonista e descritte con atmosfere veramente da “sogno”.
La “tanghitudine” (per dirla alla Meri Lao) emerge da ogni pagina, forse per i luoghi descritti, forse per le persone che ruotano attorno al protagonista, forse per il clima e il traffico della città, o per la storia di un amore inespresso; forse sono i discorsi sulla politica, nostalgici e evocativi di tempi e luoghi andati ma che a volte ritornano; forse per la questione dei desaparecidos…

Il libro inizia così:
Di ritorno da Buenos Aires, mi pare di non esserci ancora stato, di averla solo intravista in un inquieto dormiveglia, questa città letteraria e terribile con i suoi marciapiedi pieni di buche, i cieli di smalto e la coscienza popolata di morti. Eppure non più tardi di quarantotto ore fa, mi portavo appresso fra il Richmond e il Tortoni la mia tristezza morbida come un guanciale.”

Il racconto è quello autobiografico di Rino Genovese che in un perenne stato di dormiveglia si ritrova per una ricerca universitaria a visitare Buenos Aires, vagando senza una meta precisa. Incontra alcuni colleghi della capitale, ancora nostalgici ammiratori della figura di Gramsci e una neoperonista (Eva) che lo accompagna attraverso la storia e la geografia del paese. Ritrova il passato di stragi e torture dei trentamila “desaparecidos”; si interroga sulle ragioni e sull’utilità dei processi o del perdono; racconta del suo incontro con il regista Solanas, candidato senza chance alla presidenza della Repubblica (vedi articolo SUR del 27 agosto) che gli affida un incarico per la collaborazione al film Sur sui sud del mondo; si innamora senza speranza di Eva, fa ritorno a casa chiedendosi se mai fosse partito realmente…

La descrizione del viaggio avviene attraverso quelle che sembrano visioni e lo stesso protagonista spesso si chiede se non lo siano veramente. Eccone un assaggio

Un’altra visione colpiva però il mio sguardo vagante. A un tavolino erano seduti quattro signori, tutti e quattro vestiti di grigio, che parlavano animatamente, mentre chino ai piedi di uno di loro, un poveraccio silenzioso lustrava… Un lustrascarpe? La scena mi riempiva di stupore e di sdegno. Da quando non ne vedevo uno? Nei primi anni sessanta, a Napoli, avevo sette o otto anni… era un gioco per me andarmi a sedere sui troni dorati dei lustrascarpe che si trovavano nelle piazze e negli angoli delle strade del centro. A stento, allungando molto le gambe, arrivavo a poggiare i piedi su quelle strane forme di piedi alla base del seggiolone – e cominciava allora l’odore delle creme, cominciava la lieve puntura delle dure spazzole sopra le mie scarpette da bambino. […] E ora? Ora anche i lustrascarpe ritornavano – come tutto ritorna del passato in questa nostra storia universale, nel suo girare a vuoto – , ma con una differenza: i miei lustrascarpe lavoravano senza quasi mai chinarsi davanti agli alti seggioloni sui quali facevano accomodare i clienti, spesso indossavano un camice e avevano la dignità di veri professionisti della spazzola; invece il poveraccio che vedevo prono al bisogno lucidatorio di distratti uomini d’affari, era lacero, molto più simile a quegli immigrati che fanno i lavavetri ai semafori delle città, che ai compiti lustrascarpe della mia infanzia .…”

E per completare questo viaggio molto interessante vi riporto un’altra visione:

Subito mi imbattevo in una cosa su cui riflettere. Avevo notato girando per la città (dapprima in una galleria nell’Avenida de Mayo, in seguito anche altrove) la singolare unione tra la peluqueria e il gioco del lotto. Accadeva di frequente, cioè, che le botteghe del barbiere, in genere antiche, fossero al tempo stesso ricevitorie del lotto. Cosa significava quella commistione tra il taglio dei capelli e il gioco? Poteva essere forse l’espressione concreta della metafora <<farsi pelare>>? Fiscella, che nel frattempo era arrivato e a cui lo domandavo, diceva di non averci mai pensato. Da buon sociologo, tentava però una risposta: <<più che nel taglio dei capelli, credo che il contenuto simbolico sia nel farsi la barba. Penso al rituale di andare dal barbiere a farsi radere: il pennello, l’accurata insaponatura e poi il rasoio, l’attenta, pericolosa rasatura con uno strumento molto tagliente….Ecco, ci si affidava: ci si affidava al barbiere come alla mano della fortuna, con la stessa completa passività>>

Potrei andare avanti e scegliere altri quadretti evocativi: le signore che giocano a dadi mangiando dulce de leche al Tortoni; i nostalgici del socialismo che trattano di Gramsci come se fosse ancora vivo; l’ufficio elettorale di Solanas e la sua filosofia di vita dopo l’attentato; le madri che si incontrano in piazza ogni settimana per non dimenticare; la visione del tango che ha Eva; la povertà dei professori che lasciano le dotte disquisizioni per correre a una svendita a comprare un paio di scarpe a rate; le appassionanti descrizioni dei dialoghi con l’etichetta del Caffè Borghetti, fedele compagna di viaggio del protagonista….

Ma se vi racconto tutto questo, voi poi che leggereste?
Un libro che consiglio e che si assapora velocemente.

Rino Genovese – Tango italiano – Bollati Boringhieri

Un caro saluto
Chiara

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2 commenti

  1. farolit ha detto:

    Grazie per la preziosa segnalazione.

  2. Chiara Chiara ha detto:

    Ho indagato: pare che i barbieri c’entrassero con il lotto in quanto “confidenti” dei clienti e migliori “propagandisti” del lotto nero, quello gestito dalla mafia. Tale lotto prometteva di pagare almeno quattro volte più del normale … ma solo se vincevi poco!
    C’è tutta una diceria che sostiene che anche il nostro Pichuco fosse coinvolto nell’affare…

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