Il tango e la guerra delle milonghe

PUBBLICATO IL 23 Agosto 2014

di Franco Garnero

Foto di Mario Giannini

Foto di Mario Giannini

Ai tangueri torinesi piace considerare la propria città come la capitale europea del 2 x 4. Un tempo era sicuramente così e forse lo è ancora, dato che spesso qui nascono mode e tendenze, anche negative, destinate a diffondersi in tutto il Paese. Sul livello dei ballerini meglio lasciar giudicare agli altri, il numero di praticanti però è in effetti molto alto e non ha confronti nel resto del continente se rapportato al numero degli abitanti. Ma ci sono anche tanti altri indicatori da tenere presente, dal numero delle scuole (di cui parleremo in un’altra occasione) a quello delle milonghe. Nel capoluogo sabaudo ogni sera che dio manda in terra, comprese le festività più sacre, ci sono almeno un paio di locali aperti, ma in estate si arriva a situazioni estreme: cinque il mercoledì, otto il venerdì, sei la domenica, considerando solo i bailongos regolari. A questi vanno poi aggiunte le incursioni di tango pirata, le milonghe illegal e via inventando.

Sotto la Mole allora si mangia davvero pane e tango, si respira solo smog e vals? Meglio andarci piano prima di farsi travolgere dall’entusiasmo, perché spesso otto milonghe aperte in una sera d’estate vogliono solo dire otto posti dove chi ha pagato il biglietto d’ingresso non si diverte se si considera che nella capitale sabauda i praticanti nel week end sono 6/700 e 200/250 nei giorni feriali. Ma perché e come si è arrivati a questo punto? Ne abbiamo parlato con alcuni imprenditori del settore. C’è chi ha scelto l’anonimato, opzione legittima, per carità, che però evidenzia un ambiente dove non regna certo l’armonia, l’unità di obiettivi, il confronto aperto e costruttivo.

C’è chi sostiene che lo spazio a Torino è di tre milonghe nelle sere del week end e di una, al massimo due, in quelle feriali. E si dice convinto che «le milonghe non vanno aperte dall’alto per fare business, ma dal basso, quando il mercato in crescita lo chiede». E, sferzando gli altri protagonisti del mondo del tango, sottolinea che «manca soprattutto il principio fondamentale del tango, vale a dire la condivisione e la consapevolezza di far parte dello stesso ambiente, di una comunità». Il nostro anonimo amico lamenta che «la maggior parte delle milonghe non vengono organizzate per far crescere il movimento e migliorarlo, ma come estensione delle scuole e diventano così delle sacche dove i soliti si ritrovano a fare le solite cose, senza contare che di sicuro non ci sono a Torino otto musicalizadores in grado di reggere una serata in modo professionale».

Un altro organizzatore di milonghe, da molti anni nell’ambiente, precisa a sua volta che «questa faccenda di Torino capitale del tango sta rovinando la città perché troppa gente pensa di essere brava a ballare o capace di organizzare solo perché vive qua. È vero, Torino è piena di locali carini e di ottimi ballerini, ma questo non basta, perché una milonga, per avere successo, richiede la cura di molti dettagli; la conseguenza è che diventa molto difficile anche solo rientrare delle spese, che sono tante, e così in molti si scoraggiano alle prime burrasche e chiudono dopo due o tre serate andate male». E conclude il suo ragionamento evidenziando che «non si dovrebbe andare in una milonga perché c’è un’esibizione, spesso modestissima, il compleanno del tuo amico o la tipa che ti piace, ma perché ci si riconosce in quella milonga, nel suo stile, nella sua musica, nel tango che lì si pratica».

Dario Moffa, fondatore di Essentia e del Tangosensibile, è l’animatore della Milonguita del Remo, proposta di nicchia durante la stagione fredda ma uno dei locali più frequentati d’estate. «Questa abbondanza di milonghe – dice – può essere l’evidenza del desiderio di chi fa tango di provare posti nuovi, allo stesso tempo, però, è evidente che spesso si tratta di proposte un po’ improvvisate e capita che, chi mette su una milonga, non conosca come si costruisce una serata dal punto di vista musicale». «Non sono contrario all’originalità e alle sorprese – precisa – ma queste devono essere fatte con coscienza, per esempio tre brani conosciuti e il quarto meno, in modo da creare un diversivo, una novità, ma deve essere dello stesso periodo e della stessa orquestra». Su cosa renda bella una milonga ha le idee chiare: «Energia, qualità del ballo, luce, pavimento». Detesta, invece, «lo schiamazzo e la confusione e chi va in milonga con obiettivi diversi dal passare una serata ballando tango».

Virna Nastasi non appartiene al nucleo degli organizzatori storici. Comincia solo ora a mettersi in gioco. Per l’estate 2014 ha scelto una location molto suggestiva, davanti alla Gran Madre, una delle chiese più amate dai torinesi. «Anche io penso che le milonghe siano troppe – osserva – anche perché i praticanti, che sembrano tanti se paragonati a quelli delle altre grandi città, sono in realtà pochissimi se il confronto è con il mondo dei balli latini, il che spiega le difficoltà a fare gli investimenti necessari per proporre locali di qualità».Ma perché allora provare a lanciarne un’altra? «Il problema – afferma – è la musica proposta nelle milonghe storiche, le cosiddette marcette, che sono poco adatte all’orecchio musicale dei giovani, che così fanno fatica ad avvicinarsi al tango». «Secondo me, quindi, c’è l’esigenza di tango nuevo, di musica con un gusto più contemporaneo», puntualizza. E aggiunge che «Miss Penelope è un vero locale ed è per questo che sta andando benissimo. I tangueri sono abituati alle bocciofile, Penelope ha tutto quello serve per essere un bel posto per ballare, i vecchi locali invece resistono solo perché non c’è altro».

Alfonso Fuggetta è il proprietario dell’AldoBaraldo, locale aperto tutto l’anno, con spazi coperti e scoperti e annessa pizzeria, che quest’anno ha deciso di organizzare un grande evento, a fine settembre, nel Salone di Diana della Reggia di Venaria. «Rappresento la memoria storica del tango torinese – esordisce – perché sono stato il primo, già nel 1998, a organizzare milonghe dopo il Café Procope e prima del Caffè Blu. E devo dire che chi ha cominciato allora è ancora al centro della scena». Ritiene che questo fiorire di milonghe sia anche figlio della crisi: «Chi perde il lavoro pensa di aver trovato un altro sistema per campare ma scopre ben presto che così non è o che non è così facile». «Ma non è solo questo – aggiunge – per molti, che magari non sono soddisfatti della vita che fanno, trovano nel tango, organizzando milonghe o dando lezioni, occasioni di visibilità, di dare un significato alla propria esistenza». «Dal mio punto di vista – precisa a proposito della proliferazione delle milonghe – questo è un fenomeno fastidioso ma non preoccupante, già ci sono stati personaggi che si sono inventati le serate, ma come sono nati sono morti».

Per chiudere torniamo al contributo di un altro anonimo. «Per superare questa concorrenza selvaggia che fa del male a tutti – afferma – sarebbe utile riuscire a coordinarsi; ci abbiamo provato una decina di anni fa ma è durata poco, c’è troppa gente abbagliata dal miraggio di facili guadagni, che non ci sono. Per sopravvivere si deve avere un passato, aver completato un percorso e il nuovo, che sia una milonga o una scuola, deve aprire quando si sente il bisogno di creare un ulteriore polo di attrazione, quando il mercato chiede un altro spazio e non per arrotondare lo stipendio».

HA SCRITTO PER NOI #
Franco Garnero

Torinese, amante dei viaggi, dello sport, della vita all'aria aperta e delle buone letture, inciampa nel mondo del tango nel febbraio del 2010. Grazie a una dedizione ossessiva e monomaniacale è da tempo, per unanime giudizio, il miglior ballerino del suo pianerottolo e l'indiscusso punto di riferimento tanguero di tutto il (piccolo) condominio dove abita.

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10 commenti

  1. Carlo Lovera ha detto:

    Ho iniziato a ballare tango nel giugno del 1997 e nel 2000 ho organizzato a Torino uno dei festival: ”Il primo incontro internazionale di tango”.
    Sono anche un collezionista di musica di tango e sono stato uno dei primi organizzatori delle milonghe di strada.
    Una sera sono stato chiamato da un gruppo di tangueri che mi chiedevano di andare a mettere musica in Galleria San Federico e, grazie all’invio di solo 10 dei vecchi sms, si sono presentati in 200.
    All’inizio usavamo uno stereo a batteria, poi una sera ho portato la macchina in retromarcia fin dentro la galleria, ho aperto il baule e così sono apparse le prime cassa autoalimentate.
    Ho fatto tutte queste cose solo e sempre per divertimento e mai per lucro. E continuerò a farlo, perché anche la storia parla di milonghe libere.
    Carlo Lovera

  2. Grazia Fontanarosa ha detto:

    Buonasera
    mi chamo Grazia Fontanarosa e ho letto l’articolo “Il tango e la guerra delle milonghe”
    e mi permetto di dire la mia.
    Il livello dei tangueros si abbassa propozionalmente al numero di insegnanti improvvisati che sono diventati una vera epidemia.
    Probabilmente vedono nell’insegnamento l’alternativa alla monotonia della quotidianità, la rivalsa all’insoddisfazione della propria vita, o la possibilità di un guadagno se magari hanno difficoltà economiche, dimenticando che chi va ai loro corsi dà soldi veri e si ritrova con falsi insegnanti.
    Le persone comuni che si avvicinano al tango non hanno modo di comprendere la differenza tra una coppia di insegnanti preparati o una di improvvisati. Lo capirà più avanti, dopo avere speso soldi e avendo acquisito una postura sbagliata su cui dovrà lavorare parecchio, ovviamente a spese sue: e qui mi fermo…
    Per quanto riguarda le milonghe all’inizio (anni 90) avevamo un appuntamento settimanale in una palestra con due eventi l’anno, primavera e Natale, con la nostra milonga elegante all’Armida e non c’erano scuole, ci si “passava i passi”. Poi piano piano sono arrivate le scuole, il numero dei tangueros è cresciuto e una milonga alla settimana non bastava più. Col tempo il discorso è come sopra: tutti vogliono un pezzo di cielo, ma rispetto a una scuola se la milonga non piace ci vai una volta e mai più
    Il fatto poi che una milonga possa essere l’appendice di una scuola è legittimo, soprattutto i principianti preferiscono andare dove ci sono i loro maestri perché non si sentono al loro agio in milonghe dove i principianti vengono guardati come intrusi o invasori da chi si è dimenticato di essere stato principiante esso stesso. D’estate si ha più scelta:ci sono anche le milonghe gratuite nei punti verdi. Non mi risulta che i tangueri siano obbligati ad andare da una parte piuttosto che da un altra: chiamasi libero arbitrio.
    Poi ci sono gli anonimi che non avendo trovato una propria collocazione salgono in cattedra e criticano ogni cosa, ovviamente nascondendosi, non ci mettono la faccia hanno paura di perdere il saluto di qualcuno e di essere criticati a loro volta.
    Personalmente non ho mai temuto di metterci la faccia in ogni cosa che dico e che faccio da 22 anni: sono un’insegnante, mi diverto a fare la dj, sono un’organizzatrice di provata esperienza, ho ideato uno spettacolo nel 2000, che va avanti tutt’ora, con 70 ballerini che si danno un gran da fare per riuscire al meglio nei progetti solidali che appoggio. Non so se quanto le ho scritto verrà pubblicato ma sono consapevole che se ciò avvenisse qualcuno mi toglierà il saluto: sopravviverò.
    La saluto cordialmente.
    Grazia Fontanarosa

  3. Cesare Zecca ha detto:

    La frammentazione di serate e la proliferazione di scuole (di dubbio livello) non sono né prerogativa del mondo milonghero né di Torino.
    Qui a Bologna la realtà salsera ebbe dinamiche simili e, in scala minore, meno esasperata per numeri e dimensione più ridotti, le ha attualmente quella milonghera.
    Non so se la causa sia solo economica… insomma, anche in questa pagina si legge che molte tangherie torinesi hanno avuto vita breve per incassi magri che non coprivano le spese. Allora… non è la vil pecunia, non solo, il motore di questa frammentazione/proliferazione.

    Ma cosa spinge personaggi ad aprire milonga dalla vita breve? Una milonga estemporanea lo è anche negli effetti. Tutto sommato il danno che comportano è limitato e si esaurisce nel tempo del loro soccombere. A volte è solo un divertimento (uno dei miei maestri ha organizzato di recente una serata una-tantum con buon successo … rimettendoci un paio di centinaia di euro… ma questo è suggello della sua passione autentica, disinteressata, quasi … missionaria).

    Invece penso che sia molto peggio, il fatto che alcune persone si improvvisino maestri solo per il fatto che ballano decentemente (a volte neppure questo) da alcuni anni. Mi raccontano di “tenutari di corsi” (mi rifiuto di chiamarli maestri che non sono) che nei corsi principianti non spendono, in un anno, il tempo di una lezione per divulgare come ci si comporta in una milonga, un minimo sui codici, sull’igiene personale, su come è organizzato il ballo in tanda, sulla moderazione dei toni (la milonga NON è una ciarleria sguajata), sui codici basilari … nulla. Questa è la salida basica, questo sono gli ocho, poi c’è la cunita, … e poi via, principianti allo sbaraglio.
    La tecnica (base) del tango è solo una piccola parte del tango, no!? Quale persona sensata potrebbe pensare di organizzare un corso di cucina basato solo su ricette di sughi e salse per la pasta?
    Mi raccontano di maestri dalla didattica… non so se esilarante o drammatica: ecco, questo è la sequenza. Maaa… scusi… potrebbe rispiegare? Stessa sequenza. E poi ancora. La didattica? Cos’è?!
    Essere maestri non significa affatto saper ballare alcune sequenze. Significa avere una cultura milonghera di base, una cultura tecnica, avere un minimo di didattica, aver avuto molteplici maestri ciascuno capace di condividere e di comunicare qualche aspetto importante, avere conoscenze sulla ritmica, musicali, due parole sulla storia del ballo non fanno schifo, eh!?
    Sono aspetti che richiedono studi, dedizione. Il fatto che il tango sia complesso, anche difficile rispetto ad altre espressioni coreutiche, richiederebbe maestri più preparati.

    Attenzione, non è nessuna apologia di formalizzare l’insegnamento cercandolo di normarlo. Siamo già pieni di ipernormazioni cervellotiche, di albi e ordini che garantiscono solo gli iscritti più che i fruitori dei servizi, di “eccellenze” ad alti voti di carta.
    E’ solo curiosare per questo proliferare spesso grottesco talvolta indegno. Comunque il passa parola poi funziona, sappiamo che il pettegolezzo è una delle dimensioni imprescindibili di questo mondo ed esso ha anche delle connotazioni ecologiche. Bisogna aggiungere che i problemi non sono solo dei tenutari di corso improvvisati. L’insegnamento pecca, per altri aspetti, talvolta anche tra i (grandi) maestri ma questa è altra questione.

    Insomma, tenutari di corsi per il fatto di avere un ruolo e una posizione, per quanto aleatoria, di potere, che soddisfa l’ego? Che garantisce fascinazioni? Narcisismo? A… spese di principianti.
    Sono fattori non meno importanti di quello economico.

    Tutto sommato forse è bene che sia così, un fermentare vitale, come all’inizio a Montevideo o a Buenos Aires.
    Il tango e la milonga, l’asprezza della selezione de-facto, l’altezza della soglia iniziale, la complessità poi scremano, filtrano tutto ciò che non sia passione e dedizione.
    Come diceva Leon Iskovich in un bel documentario della BBC sul mondo del tango (4′ 43”), alla fine l’unica cosa che conta è se tu sappia ballare (bene) o no. E’ solo questione di tempo.

    • Inés Guidini Inés Guidini ha detto:

      grazie Cesare per questo bel commento!
      “tenutari di corsi” è in effetti una definizione azzeccata per tanti pseudo-maestri che si vedono in giro, che come tu hai giustamente detto spesso questi tenutari sono spinti da un “potere” che soddisfa l’ego e il narcisismo. Cose vuote, come il messaggio che poi arriva

  4. Cesare Zecca ha detto:

    Sto riflettendo un po’ su questa cosa.
    Penso che… sia inevitabile.
    Del potere e del ricavarsi posizioni di potere. Succede praticamente ovunque. Certi ruoli nei… condomini. Sentivo ieri amici meranesi che mi raccontavano cosa succede là con un “maestro” di .. aikido. Buffo e … universale, probabilmente.
    Questo formicolare vitale, questo fermento (prima inconsapevolmente) artistico non strutturato è anche ciò che ha prodotto il tango.
    In un certo senso è anche questa una delle “difficoltà” del tango.
    Una persona motivata, appassionata supera anche queste.
    🙂

    • Manuela Pelati Manuela Pelati ha detto:

      direi proprio che questo “formicolare vitale” di cui parli (ottima definizione) va assolutamente affrontato e superato come giustamente dici, un abrazo tanguero

  5. Roberto De Mattia ha detto:

    LE LUCI DE LA MILONGA
    Raramente l’atmosfera delle miloghe in italia è quella di una tradizionale milonga porteña; a volte è bello l’ambiente, belli i tavolini, ben apparecchiati, bello il pavimento, in vero parquet, ma raramente sono belle le luci: tenui, colorate, mutuale dalle discoteche del secolo scorso. Il tango è un ballo popolare, che dovrebbe mutuare l’atmosfera più dalle sale dove si praticano i balli standard (valzer viennese, valzer lento, fox trott, tango standard) o dalle balere dove si pratica il liscio. In MILONGA è necessario vedere chi sta seduto, anche lontano ed è bello osservare anche i particolari dei movimenti di chi balla; e perché non dare spazio anche a quel po’ di narcisismo che è in noi e che, con il piacere di essere osservati, stimola l’anelito alla eleganza del movimento?
    A volte le luci sono “quasi milonguere” all’inizio della serata; poi, prima di mezzanotte, una grande delusione: un improvviso attenuamento, forse su richiesta di qualcuno che di tango conosce poco o nulla; qualcuno che crede l’atmosfera dipenda dal “buio”; qualcuno che non sa che nel tango l’atmosfera o si crea nella sintonia della coppia, oppure il ballo è penoso, sia con la luce che con il buio….
    Questi concetti sono condivisi da tutti coloro che del tango hanno intuito o compreso l’essenza. Nelle grandi milonghe classiche di Buenos Aires, come Sunderland, Glorias Argentinas, Grisel, Canning, frequentate dalla crème del tango tradizionale o la Confiteria Ideal, istituzione del tango pomeridiano e serale, nessuno si sognerebbe di abbassare le luci. Spetterebbe ai maestri, ai musicalizatores e agli organizzatori diffondere tali concetti, se avessero a cuore la cultura tanguera. Costoro dovrebbero prodigarsi nell’insegnamento di essa (le luci della milonga sono, tra l’altro, il preliminare necessario alla pratica della mirada e cabeceo) e non dare spazio alle richieste dei cultori dell’atmosfera del buio, più tipica delle antiche feste di liceali, basate sul ballo della mattonella.

    A me passare una serata in un milonga buia, come usa oramai in molti casi in Italia, stringe il cuore, mi mette a disagio. Se io fossi l’organizzatore di una milonga, a chi mi chiede il buio, spiegherei che questo è in contrasto con lo spirito del tango, in cui è piacevole scambiare gli sguardi, vedere dove va a sedersi una persona con cui si intende ballare, osservare i ballerini e anche essere osservati mentre si balla.

    Perché spesso in Italia si vuole snaturare l’essenza primordiale della milonga? La risposta viene istintiva: “Per attrarre principianti e altri “ignoranti del tango” per evidenti fini di lucro, snaturando così nella pratica l’essenza stessa del tango……”.

    Scriveva una giornalista milanese, Arianna Chieli, in un articolo del 2003, ripubblicato sul sito “www.argentango.it, nella rubrica “letture”:
    “Quello del tango è un mondo a parte, fatto di locali fumosi fiocamente illuminati da luci rossastre ….. ecc……”.
    Questo il commento a quella affermazione, pubblicato nel 2006 nel sito summenzionato, dall’allora Presidente e Amministratore di Fai Tango, Piero Leli:
    “A Buenos Aires le milongas sono illuminate quasi a giorno, sia per consentire l’invito con lo sguardo durante la cortina (mirada y cabezéo), sia perché durante il ballo tutti devono essere visibili. Chi le ha fornito quella informazione, ha un’idea “viziosa” del tango, da ballare con poca luce e per giunta “rossastra”, quasi a riferirsi a qualcosa di peccaminoso (luce rossa = casa di tolleranza)”.
    L’UNESCO ha dichiarato che il Tango “rappresenta l’essenza di una comunità e pertanto merita di essere salvaguardato”. NON MERITEREBBE PERTANTO DI ESSERE SNATURATO.

    • Franco Garnero Franco Garnero ha detto:

      Innanzitutto grazie, caro Roberto, per il tuo ampio e articolato contributo, che anticipa un articolo a cui stiamo lavorando e che verterà, appunto, su “La milonga ideale”.
      In larga parte condivido le tue parole anche se, naturalmente, il modello porteño non è detto che debba essere acriticamente esportato ovunque senza modifiche dovute alla cultura e al costume locali. Il tango, per crescere robusto, è bene che si nutra anche delle specificità dei diversi territori dove viene praticato.
      Detto questo, anche io detesto le milonghe troppo buie. Dalle mie parti poi, visto che tu auspichi che siano i musicalizadores a educare le masse, ti posso dire che invece è proprio uno di questi, Brifa, grande sacerdote del Nuevo, ad abbassare sin quasi a zero le luci dell’Espace dove lavora la domenica sera quando propone brani particolarmente suggestivi del suo repertorio. E, più che alle serate in discoteca, in quelle occasioni mi viene da pensare alle feste pomeridiane degli anni belli del liceo, quando si voleva provare a concludere qualcosa con la compagna di banco.
      In sintesi, hai ragione, il tango è un ballo popolare. Non c’è altro da aggiungere.
      Sulla disponibilità dei maestri a insegnare il codice del tango e delle milonghe ho i miei dubbi perché così facendo metterebbero a rischio la bottega. Dovrebbero farlo, certo, ma meglio tenere le classi piene e anche sull’insegnamento del tango abbiamo intenzione di scrivere alcuni interventi su cui speriamo di poter di nuovo leggere le tue riflessioni.
      Franco Garnero

  6. Annalisa Santi ha detto:

    Grazie Franco dell’articolo sicuramente condivisibile anche da una tanguera milanese. La situazione a Milano è forse peggio! Io sono nell’ambiente da più di 10 anni e ogni giorno che passa mi accorgo di quanto sia scaduto e di quanta poca passione e professionalità sia ormai caratterizzato.
    A tutto questo aggiungiamo anche che qui a Milano è nata una nuova moda, la One Nigt, la Milonga Zero che io ritengo davvero “scandalosa”. Trattasi di una Milonga organizzata per una sola serata ogni tanto, tipo una volta al mese o ogni due mesi, in locali sempre diversi e spesso poco adatti. Questo è, secondo me, scandaloso perché, oltre a non dare alcun tipo di riferimento abituale di tipo musicale e sociale, è evidente che è stato pensato (con molta furbizia commerciale senza dubbio) solo per averne un ritorno economico immediato senza impegnarsi in un vero progetto di continuità. Come si sa la gente, e quindi anche il popolo tanguero, è curiosa di vedere cose nuove e quindi, in questo caso, di posti nuovi, che però si presentano al buio e che immediatamente spariscono (sia che siano stati piacevoli sia che non abbiano soddisfatto). Ero solo curiosa di sentire il tuo parere. Poi se trovo l’ispirazione potrei cercare di affrontare l’argomente, con più impegno dialettico, sul mio blog Matetango dedicato alle mie due passioni, Matematica e Tango. Ultimamente i post di tango sono veramente pochi!!!!!!!!
    Grazie
    Annalisa

    • Franco Garnero Franco Garnero ha detto:

      Grazie a te Annalisa per il tuo contributo a questo pezzo pubblicato mesi fa che però evidentemente risulta ancora attuale. Non faccio fatica a credere che a Milano la situazione sia anche peggiore dato che i problemi sono quasi sempre diffusi e raramente localizzati. Anche da noi ci sono spesso queste serate “mordi e fuggi”, spesso abbinate ad apericene o a cene vere e proprie, che riscuotono il più delle volte ben misero successo, però, perché la qualità del cibo, del locale e della proposta musicale è sempre al ribasso. Ma i prezzi estremamente contenuti (come si può pensare di avere una serata di tango, una pista decente e una cena accettabile a 15 euro, consumazione compresa?) attirano sempre qualche novizio o qualche irriducibile ottimista e alla fine l’organizzatore riesce a mettersi qualche soldino in tasca e quindi la voglia di riprovarci dopo qualche settimana gli rimane. Curioso il connubio tra matematica e tango … verrò presto a visitare il tuo blog nella speranza di trovare qualche cosa da dire anch’io. Un abbraccio.

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