Le radici africane del tango.

PUBBLICATO IL 8 Giugno 2015

 Le radici africane del tango: una intervista con Dom Pedro
19 Maggio 2015
di Salym Fayad

Dom Pedro

Dom Pedro, direttore di ‘Tango negro’ a New York. Foto di Salym Fayad.


Al termine della
premiére di Tango negro a Parigi, Dom Pedro ha invitato sul palcoscenico gli ambasciatori di Angola, Uruguay e Argentina, che avevano partecipato allo proiezione. “Volevo avere con loro una conversazione che includesse il loro parere dopo aver visto il film”, dice, “ma non è stato possibile: l’ambasciatore argentino si bloccò e lasciò l’evento senza pronunciare alcun commento”.

Chi ha visitato l’Argentina sa che iniziare una polemica in quel paese non è difficile; soprattutto quando il problema in questione è uno dei simboli della identità nazionale. Con il suo ultimo documentario, il regista angolano Dom Pedro tocca un nervo sensibile andando alla ricerca delle origini africane del tango, un genere che è spesso associato con la migrazione europea al Cono Sud nel XIX secolo anziché con la tratta di schiavi africani in America Latina. Come previsto, sin dalle prime fasi delle riprese in Argentina, Dom Pedro si rese conto che l’oggetto della sua ricerca era troppo provocatorio per alcuni. “Dal nostro primo giorno a Buenos Aires abbiamo iniziato a chiamare specialisti e musicologi che avevano accettato di collaborare con il progetto, però molti poi si pentirono. Diversi ci hanno riattaccato il telefono senza fornire alcuna spiegazione e preferirono non compromettersi con opinioni che di certo avrebbero  potuto generare controversie tra gli amanti del tango “, dice.

Usando come linea narrativa il lavoro del pianista argentino Juan Carlos Caceres, compositore e studioso delle origini africane di tango, Tango negro porta lo spettatore a Buenos Aires, a Paraná, a Montevideo e a Parigi, in un viaggio musicale e storico che cerca di riportare alla luce un episodio della cultura popolare latino-americana completamente ignorato.

“Il mio lavoro non è incentrato solo a evidenziare una parte del patrimonio culturale africano che è stato nascosto”, spiega Dom Pedro, “ma nel servire le persone le cui storie sono state oggetto delle narrazioni delle potenze coloniali “.

In precedenza, parlando del suo film, a volte lei ha fatto riferimento ai concetti di riappropriazione e di trasmissione come base per raccontare la storia da un altro punto di vista, cioè dalla prospettiva del colonizzato. A cosa si riferisce per questi concetti nel contesto del Tango negro?

Come si può vedere nel mio film, io sono tra coloro che pensano che la storia sia stata spezzata, e che le versioni della storia che ci danno non sono sempre veritiere. Dipende da noi scoprire questa storia nascosta. Chi nasconde la storia? Coloro che vogliono mantenere l’ordine coloniale. In questo caso, il problema che abbiamo davanti è il tango. Com’é che il mondo pensa che il tango non abbia nulla a che fare con l’Africa? Nessuno vuole parlare della presenza negra in Argentina; noi come artisti dobbiamo sollevare questa battaglia culturale e riappropriarci della nostra storia. Una volta che questo sarà accaduto, il nostro dovere sarà quello di trasmettere quella storia alle giovani generazioni.

Secondo la ricerca che ha fatto per il suo documentario, come sono spiegate le origini del tango?

Prima che la loro musica venisse trasformata e il pianoforte sostituisse i tamburi, gli africani ballavano i loro ritmi in maniera festosa, libera, improvvisata, seguendo il ritmo delle percussioni. Ma i bianchi nelle Americhe ricodificarono questo stile di ballo e lo modellarono alla loro maniera. Secondo questa nuova interpretazione la danza si fa con passi più rigidi e sistematici in opposizione ai movimenti più aperti ed espressivi. Gli africani non ballano così. Si iniziò a marcare la differenza, si iniziò a distanziare le origini africane della musica e della danza.

Si può parlare di un processo di invisibilizzazione in Argentina degli afro-discendenti e del loro patrimonio culturale?

Il film contiene la risposta. Le autorità argentine hanno voluto modellare il paese secondo il modello europeo, e, quindi, hanno voluto sbarazzarsi dei popoli indigeni e africani. C’è stato un periodo di guerra in cui li hanno usati per inviarli al fronte come carne da cannone. Poi venne l’era della malattia, la febbre gialla, e gli africani sono stati le prime vittime perché a loro non era riservato alcun trattamento medico. Nella decade del 1880 ci fu una massiccia migrazione degli europei in Argentina; le autorità volevano popolare la società argentina con persone europee. Anche se è avvenuto un forte meticciamento tra popolazioni europee, indigene e africane, la società argentina si è  gradualmente “sbiancata”.
In base alle nuove politiche delle autorità argentine i negri non potevano più godere della vita pubblica nella città. C’erano pressioni fisiche e psicologiche affinché i negri se ne andassero in campagna. E ‘stato un processo di esclusione. Alcune delle persone di colore che appaiono nel film stanno a 70 km dalla città. Non si possono incontrare facilmente; è come se fossero stati nascosti.

Lei dice che il film ha il potere di rendere visibile l’invisibile? E ‘questo ciò che Lei ha tentato con Tango Negro?

Sì. Il film è un potente strumento audiovisivo, e questo è molto importante in alcune parti dell’Africa dove ci sono problemi di alfabetizzazione. In molti casi, i libri hanno meno pubblico, ma il film è più accessibile e le persone possono più facilmente assimilare ciò che stanno vedendo. Nei nostri paesi dovremmo sviluppare il cinema, in particolare la realizzazione di documentari, per rivendicare la nostra storia attraverso una ricerca rigorosa.

tango negro

Lei parla spesso dell’importanza di rivendicare il proprio patrimonio culturale per costruire qualcosa di positivo per il futuro …

Sì. La prima cosa da fare è convincere noi stessi dell’importanza del nostro patrimonio culturale. Dobbiamo riconquistare quella fiducia di cui abbiamo bisogno. Ci mancano i riferimenti storici. Perché? Perché coloro che  scrivono la storia vogliono farci dimenticare il nostro passato. In Colombia sono evidenti le radici africane, ma queste possono essere trovate in tutto il mondo. Anche il primo shogun del Giappone era negro. E ricordate che il primo presidente negro del continente americano non è stato Obama. E ‘stato un messicano: Vicente Guerrero [1783-1831]. I riferimenti sono numerosi, ma nessuno ne parla. Dobbiamo riconquistare questa fiducia che ci manca. Il mio film è il mio contributo a questo.

Quale lezione personale le è rimasta nel fare questo film?

In primo luogo, ho trovato molte persone che fanno ricerca sullo stesso argomento, il che è molto soddisfacente. Poi, nel processo di ripresa e di ricerca mi sono reso conto che molte parole presenti in America Latina sono origine Kikongo, che è la mia lingua madre, anche se in America hanno un altro significato. Ho potuto discutere con l’etnomusicologo uruguaiano Gustavo Goldman il titolo del suo libro Lucamba: eredità africana nel tango, 1870-1890. Nella lingua Kikongo, Lukamba significa “andate a dire”, “andate a raccontare qualcosa”. Ci sono molte parole così in America Latina. Le parole “rumba” [popolare genere musicale dell’Africa centrale] e “cumbia” hanno la stessa origine: derivano dalla parola Nkumba, che in Kikongo significa ombelico. Si tratta di un chiaro riferimento alla danza, che è anche associata all’erotismo e alla fertilità. Come vedete, alcune di queste parole sono come parole magiche, piene di significato.

***

‘Tango negro: le radici africane del tango’, è stato proiettato l’ 11 e il 15 Maggio a Cartagena e sará la pellicola inaugurale delle edizioni della MUICA a Bogotá (21 Maggio, 6:00 pm, Cine Tonalá) e a Cali ( 28 Maggio, 9:00 pm, Cinemateca La Tertulia // 29 Maggio, 7:00 pm, Auditorio 5, Università della Valle).

HA SCRITTO PER NOI #
Antonio Mario Savella

Ultimo presidente della prima associazione di tango in Italia, il Barrio Tanguero di Torino, appassionato di musica di tango, editore del dvd sul poeta Horacio Ferrer, il paroliere di Astor Piazzolla.

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1 commento

  1. Maria Cogorno ha detto:

    Veramente interessante questa intervista. E direi che il bisogno di europeizzare il tango tout court trova consensi a qualunque livello, ho avuto reazioni di totale rifiuto della radice africana anche da parte di diversi addetti ai lavori con i quali ho provato ad affrontare l’argomento. Il Kikongo è tabu….

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