Pellegrinaggio a Buenos Aires/20 – Considerazioni conclusive

Reportage da Buenos Aires per gli amanti del tango

PUBBLICATO IL 21 Aprile 2017

Dopo sette anni di ossessione da tango mi sento pronto per il mio primo pellegrinaggio a Buenos Aires. A convincermi non solo la cabala ma anche la fortunata coincidenza di essere ormai in pensione e quindi non si tratta della solita toccata e fuga di due – o al massimo quattro – settimane: mi fermerò nella culla del 2×4 per tre mesi. “Pellegrinaggio a Buenos Aires” è il racconto di questa avventura, tra dettagli pratici, curiosità e note di costume, senza la presunzione di esporre verità assolute ma con l’unico obiettivo di condividere le mie esperienze e le mie impressioni personali, che vi invito, se volete, a commentare.

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Venerdì 28 rientriamo in Italia, dopo tre mesi di assenza, che sono tanti. Potremo finalmente riabbracciare i figli, tornare alle comodità di casa, alle nostre abitudini, ai tanti amici – non solo di tango – a cui abbiamo un monton di cose da raccontare.

Prima di perderci nella disperata impresa di cercare di far stare tutto nelle valigie è il momento delle considerazioni conclusive, che ho suddiviso per argomenti.

Buenos Aires e il tango. La città è immensa e molto popolosa (più di 14 milioni di persone vivono nell’area metropolitana), fatale che la comunità locale del tango vi si perda come una goccia nell’oceano. Praticamente nessuno balla il tango, parla di tango, conosce il tango, solo un tassista su dieci sa portarti a destinazione se ti limiti a dirgli il nome della milonga – che qui spesso chiamano tangueria – senza specificarne anche l’indirizzo. Poi, però, un giorno entri al “Museo de armas” e vedi che il cassiere, un signore anziano dall’abbondante giro vita, ha sulla scrivania, accanto alla foto di Carlos Gardel, una radiolina accesa su una stazione che trasmette solo tango e, venuto a sapere della comune passione, si alza in piedi e canta a squarciagola per noi un’intera strofa di Mi Buenos Aires querido.

Le milonghe. A parte la questione della sicurezza di cui abbiamo diffusamente detto, sono eccellenti e ce ne sono molte, di diverse dimensioni, caratteristiche e vocazione, anche se quelle sempre piene si contano sulle dita di una mano. Di solito alle pomeridiane si trovano più anziani e più locali, alle notturne prevalgono i giovani e i turisti. Ci sono quelle dove impera myc e quelle dove è sconosciuto se non aborrito. Spesso il pavimento è di legno, altre volte di marmo, piastrelle o semplice cemento. Sono tante – ma non tantissime, se si considera che stiamo parlando della culla e della capitale del tango, delle dimensioni della città e della quantità di turisti che qui sciamano da ogni parte del mondo – e tutte offrono un’accoglienza di qualità. All’ingresso ti aspetta un caloroso saluto da parte degli organizzatori che ti accompagnano al tuo posto che prevede sempre almeno una porzione di tavolino a disposizione. Al momento del microfono gli organizzatori si dimostrano tutti ottimi animatori e i sorteggi sono di solito generosi. I costi vanno da 60 a 130 Ars ma occorre dire che nelle più care quasi sempre è prevista un’esibizione e non è rara una parentesi di musica dal vivo, senza dimenticare anche la quantità: una milonga rimane aperta almeno sei ore ma è normale arrivare a otto se non a nove. Ogni locale dispone infine di un ottimo servizio ai tavoli: la scelta delle bevande anche alcoliche è ricca e diversificata, spesso si può anche cenare e sempre sono disponibili spuntini dolci e/o salati. Il tango europeo ne guadagnerebbe parecchio se più che i ballerini, a Buenos Aires ci venissero gli organizzatori a imparare. Unico neo la temperatura: anche ad autunno inoltrato condizionatori e ventilatori a palla e, se azzardi un lamento, rischi la lapidazione.

I musicalizadores. Come per l’organizzazione delle milonghe anche molti musicalizadores europei dovrebbero venire a Buenos Aires per imparare come si fa. È quasi impossibile dirsi insoddisfatti o trovare qualcosa che non va. Sono tutti bravi, competenti, sanno costruire una tanda e una serata. Piccola annotazione: è molto comune che vi siano intere tande di folklore, di rock and roll o di latino. Prima di partire avevo sentito da molti dire che a Buenos Aires non si balla questa o quella orchestra. Nella mia esperienza non lo posso confermare: si balla di tutto, brani di Nuevo compresi. E non potrebbe essere altrimenti: hai voglia a proporre otto, nove ore consecutive di musica di qualità senza ripeterti e se hai messo al bando questa o quella orchestra.

I maestri. L’offerta è enorme, per tutti i livelli, i gusti, gli stili e le tasche. È normale che le milonghe siano precedute da lezioni – a prezzi popolari – ma non bisogna aspettarsi molto perché i gruppi non sono né omogenei né costanti e l’affollamento è notevole. I giornaletti pubblicitari che presentano maestri e scuole sono tanti e si trovano ovunque. Le lezioni collettive inevitabilmente si limitano a proporre in massima parte passi, strutture, sequenze rigide mentre le lezioni di coppia o individuali sono più approfondite e di qualità. Anche qui, in ogni caso, in cattedra ci trovi di tutto, l’unica strada è provare di persona e poi decidere se continuare o meno.

I milongueros. La comunità del tango di Buenos Aires è generalmente composta da persone molto affabili, gentili, calorose e cordiali. Non ci sono problemi a stabilire contatti, conversare su qualunque argomento, scambiarsi informazioni. È indispensabile però parlare almeno un poco lo spagnolo perché le lingue straniere non sono molto diffuse, specie tra i meno giovani. Formidabile poi come padroneggino la mirada. Se riesci a invitare con myc chi si trova a più di dieci metri di distanza è certo che è del posto.

La qualità del tango. Quando siamo partiti pensavamo di arrivare nella terra del latte e del miele (anche se qualcuno, a dire il vero, ci aveva messi in guardia). Ci siamo ricreduti abbastanza presto, purtroppo. La qualità del tango ballato dagli argentini appare mediamente molto modesta, specie se si considera che stiamo parlando di Buenos Aires. Certo, due dozzine di ballerini eccellenti ci sono, ma sono sempre gli stessi – dopo qualche settimana, almeno di vista, ci si conosce un po’ tra i frequentatori abituali – e sono tutti, seppur a diverso titolo, degli addetti ai lavori. La cosa davvero strana, almeno per quanto ho potuto vedere io, è che, contrariamente a tutto il resto del mondo, qui gli uomini ballano mediamente meglio delle donne e in milonga sono anche più numerosi. Il conto si riequilibra solo grazie alle turiste, giustamente accorse qui per provare l’ebbrezza dell’abbraccio porteno. Abbiamo parlato di queste nostre impressioni con il nostro maestro, Roberto Canelo. Ci ha detto che questa tendenza è iniziata negli anni Ottanta, quando i ballerini – lui distingue tra bailarines, vale a dire i professionisti, e i milongueros, cioè la massa degli amatori più assidui – si sono resi conto che il tango, per una serie di motivi, stava davvero rischiando di sparire e hanno deciso di abbassare drasticamente l’asticella delle lezioni, suscitando anche un certo malumore tra gli ultimi grandi del passato ancora vivi, testimoni di un tempo in cui ogni barrio aveva il suo stile e i suoi campioni che rivaleggiavano in destrezza con quelli degli altri quartieri.

Roberto ci ha spiegato che in quegli anni alle donne si diceva che per ballare il tango bastava abbracciare e seguire – che è diventato ben presto un aggrappati e fatti trascinare – e agli uomini che era sufficiente camminare ma, come è noto, un conto è camminare il tango un altro è passeggiare per la pista. Anche il famoso abbraccio chiuso, senza lo studio, si è in breve trasformato in una morsa che leva il fiato. Ed è così che l’aspetto sociale del tango ha iniziato a prevalere: in milonga non ci si andava più tanto per ballare quanto per passare una serata con gli amici. L’operazione ha avuto successo perché il tango è sopravvissuto al suo periodo più buio ma ha anche pagato un tributo salato alla qualità di almeno una generazione di milongueros. Canelo sostiene infine che i primi maestri che hanno invertito questa tendenza e iniziato a colmare il significativo divario che ormai si era creato tra bailarines e milongueros e ad arricchire il contenuto delle lezioni sono stati – a partire dalla fine degli anni Novanta – i due fratelli Zotto e Geraldine Rojas. In effetti, la situazione tra gli under 35 è molto diversa. Va da sé, infine, che le parole di Roberto si riferiscono al quadro generale e non ai casi particolari, che pure esistono, naturalmente.

Andare a Buenos Aires “serve” per migliorare il proprio tango? È la domanda da un milione di dollari. Spetta ai partner abituali rimasti a casa accertare e valutare, al ritorno, gli eventuali cambiamenti. Come sempre dipende da una grande quantità di variabili: quanto ci si ferma, quante lezioni si prendono, di che tipo, se si ha la fortuna di imbattersi subito nel maestro giusto (altro dettaglio molto particolare e individuale). Rimane in ogni caso il fatto che ballare tutti i giorni per molte ore al giorno con persone diverse e in situazioni sempre differenti, potendosi per di più concentrare solo sul tango, di certo male non fa. Per quanto mi riguarda, dopo questi tre mesi, metto in valigia alcune cose che mi sembrano importanti: prendere il tango meno sul serio; lasciare sempre il passo a chi – per ragioni tecniche o culturali – non sa padroneggiare il proprio spazio; non fare drammi se qualcuno mi viene addosso. Tutte  cose che qui sono normali.

Questo è tutto. Contiamo di tornare a Buenos Aires tra un paio d’anni ma non temete, non è prevista una seconda edizione dei miei imperdibili resoconti.

HA SCRITTO PER NOI #
Franco Garnero

Torinese, amante dei viaggi, dello sport, della vita all'aria aperta e delle buone letture, inciampa nel mondo del tango nel febbraio del 2010. Grazie a una dedizione ossessiva e monomaniacale è da tempo, per unanime giudizio, il miglior ballerino del suo pianerottolo e l'indiscusso punto di riferimento tanguero di tutto il (piccolo) condominio dove abita.

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5 commenti

  1. Mara ha detto:

    Carinissimo! Ti aspetto in milonga per “testarti?

  2. Ruben Costanzo ha detto:

    Dal 1990 che vivo in Italia. in questi 27 anni ho cercato di raccontare alcune cose sul tango, senza passare dai luoghi comuni ne logiche di mercato, ma si sa dire la verità non è mai di moda e la gente ascolta quello che vuol sentire. È molto difficile parlare con qualcuno che vede il tango come un corso di lingua latina, che può essere affascinate e bello ma morto tanto tempo fa.
    Di pellegrinaggi a Buenos Aires ho sentito tante storie. Alcune al limite dell’assurdo. Quella che lego in questo articolo è in contatto con la realtà e ne sono immensamente grato al autore.
    Nella città del tango non si balla il tango, e se lo si fa è per i turisti.
    Amici miei che frequentate le milongas italiane andate con la vostra mente oltre l’abbraccio, el ocho, la sentada, el firulete: il tango è una espressione culturale e Buenos Aires è la essenza di questa espressione che noi chiamiamo tango. Non è un ballo no un genere musicale. Il tango e l’identità di una città.
    Persino nella gloriosa decade del 1940 quando il tango era furore a Buenos Aires non era di tango il disco più venduto, ma sembra che questo lo dicono in pochi.
    Il tango è una cosa che evolve insieme alla città che l’ha visto nascere. Il tango che viene diffuso nella milonga italiana è una parte della galassia tango, a volte è soltanto una “operazione nostalgia” che per carità non ha nulla di male se si è cosciente di quel che si fa, ma questo tango non dovete cercarlo a Buenos Aires, là il tango si nasconde in cada esquina ed è molto diverso.

    • Franco Garnero Franco Garnero ha detto:

      Grazie Ruben per il tuo intervento che purtroppo vedo solo ora e quindi finalmente ti rispondo. Le tue belle parole mi hanno fatto molto piacere e sono lieto che i nostri pareri siano simili su molte cose.

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