“El que atrasò el reloj” di Enrique Cadicamo

Forse l'ultimo tango di Cadicamo inciso da Carlos Gardel

PUBBLICATO IL 12 Dicembre 2017

di Victor Hugo Del Grande

“El que atrasò el reloj” (Quello che ha mandato indietro l’orologio), è un’altra delle creazioni di Enrique Cadicamo che nacque a General Rodriguez in provincia di Buenos Aires il 15 luglio del 1900 e morì il 3 dicembre del 1999.

Fu uno degli autori più prolifici della musica popolare argentina, noto ancor più per la qualità dei suoi tangos che per la quantità, anche se non si scherza con il numero delle sue canzoni pubblicate, che sono circa 1300!

Il suo primo tango “Pompas de jabon”, fu tra quella ventina che Gardel incise, tanti dei quali sono tra i classici del tango argentino.

“El que atrasò el reloj” è stato musicato da uno dei chitarristi di Gardel, Guillermo Barbieri, che nacque nel quartiere Balbanera a Buenos Aires, il 25 di settembre del 1894. Ereditò da suo padre la passione per la chitarra, strumento che lo portò a conoscere  e accompagnare i più grandi artisti del tango, come appunto  Gardel con cui suonò per molti anni, sino alla morte di entrambi.

Un aneddoto infatti racconta che Carlitos, mentre salivano sull’aereo che li portava verso il tragico destino insieme agli altri musicisti e ad Alfredo Lepera, passò un braccio sulla spalla di Barbieri e gli disse: «Negro, sono stanco di girare e girare, ti giuro che questo è l’ultimo viaggio. Dopo ci fermiamo, dove saremo più sicuri che a terra?».

Ebbe fatalmente ragione Gardel, nel dire che era l’ultimo viaggio. Il 24 giugno del 1935 a Medellin, Colombia, Barbieri – con la sua morte e quella dei suoi compagni – fu l’inconsapevole testimone della nascita del mito del tango argentino: Carlos Gardel.

Forse questo fu l’ultimo tango di Cadicamo che Gardel incise, nell’ottobre del 1933, prima di partire in tournée per l’Europa e gli Stati Uniti.

Le parole, riportate, in calce, per gran parte in lunfardo, sono le originali che Gardel cantò nel disco.  Raccontano la storia di due personaggi, uno che lavora e fa sacrifici mentre l’altro dorme ed è un fannullone.

Lo incise Calò con la voce di Hector Campos, D’Arienzo con Armando Laborde, Alberto Castillo, e anche Tita Merello nel 1969.

Ueeee, Peppino, alzati dalla catrera (letto) che si è rotta la forbice per tagliare il baccalà.

Cosa credi, che tu dormi perché io cinche?(cinchar, fare sforzo fisico ).

Vai a cercare un altro guinche (gancio meccanico) se hai il sonno pesante.

Guarda! (attento) che ti cacha (coglie) l’avvenire,

occhio, che oggi anda el vento( il soldi) a la rastra (trascinandosi),

chi ha guita (denaro) lastra ( mangia) e chi no si fa fachiro.

Vuoi che mi deschave (dichiari, confessi) e dica chi sei tu?

tu sei che vagoneta ( ueee fannullone) quello che ha mandato indietro l’orologio.

Con quale strumento ti guadagni da vivere? Con quale vantaggio ti metti i miei vestiti?

Ho finito la distribuzione di salvagenti.

Cachà esta onda (prendi questo avvertimento): è finita la sopa (minestra).

Vediamo se cosi prendi un po’ di slancio, e che questa vita de ojo (di solo guardare) non si allunghi,

Già sono en yanta (yanta, cerchione, con la gomma a terra) di portarti di peso.

Cercati un changador (facchino) che ti carichi,

credo  persino tu sia nato da un nocciolo, sei freddo come un bufoso (revolver, pistola)

non ti sopporto più, nel sangue mi hai piantato una bombilla (cannuccia),

e oggi mi seghi la sedia quando mi voglio sedere.

Da questa non ti salva neanche il gong,

Guarda (occhio, attento) que se me pianta la fiera (mi scappa la belva, perdo il controllo),

alzati dal letto che ti brucio il materasso, vuoi che mi deschave e dica chi sei tu?

tu sei, uee vagoneta, quello che ha mandato indietro l’orologio!

 

Ueee, Peppino, alzati dal letto

che si è rotta la forbice per tagliare il baccalà.

Cosa credi, che tu dormi

perché io tiro la carretta?

Vai a cercare un’altra gru che ti sollevi,

se hai il sonno pesante.

Attento che l’avvenire ti salta addosso!

Occhio, che oggi i soldi scarseggiano,

e chi ha denaro mangia, e chi no si fa fachiro (digiuna).

Vuoi che vuoti il sacco, e dica chi sei tu?

Tu sei, ueee fannullone,

quello che ha tirato indietro l’orologio.

Con quale mezzo ti guadagni da vivere?

Per quale scopo ti metti i miei vestiti?

Ho esaurito la scorta di salvagenti…

Ascolta questo avvertimento:

è finita la pappa pronta!

Vediamo se così ti dai una mossa, e che questa vita dove stai solo a guardare non si allunghi…

Io sono spompato, a furia di portarti di peso,

cercati un facchino che ti carichi in spalla.

Mi sembra perfino che tu sia nato da un nòcciolo,

sei più freddo di un revolver!

Non ti sopporto più, mi stai succhiando il sangue,

e oggi mi seghi la sedia quando sto per sedermi.

Da questa non ti salva neanche il gong (break! negli incontri di boxe),

occhio! che se si scatena la belva che è in me…

Alzati dal letto che ti brucio il materasso.

Vuoi che mi confessi, e dica chi sei tu?

Tu sei, ueee fannullone,

quello che ha mandato indietro

 

Victor Ugo Del Grande

HA SCRITTO PER NOI #
Victor Hugo Del Grande

Il Maestro VICTOR HUGO DEL GRANDE nasce a Rosario, grande città portuale dell’Argentina, attraversata dal Paranà. Insegna tango da tempo, dopo aver dedicato molti anni allo studio e alla pratica della lirica che lo ha portato in Italia, negli anni’90, a cantare come tenore. La sua formazione, in Argentina, è però poliedrica: studia canto e tecnica vocale, ma anche teatro, compone ed interpreta musica popolare argentina e tango. Con la serietà e la passione che hanno attraversato gli incontri con le altre forme d’arte, che hanno affascinato e formato Del Grande, anche l’interesse per il Tango non si riduce alla pur consistente dimensione della danza: tiene insieme l’importanza della tecnica del movimento, la storia, le diverse musicalità, il peso specifico culturale… Con questo bagaglio, questa profondità, e con una personalissima visione della tecnica, Victor Hugo Del Grande nei primi anni ’90 apre a Milano una scuola di tango, quando il Tango non era di moda, ma qualche pioniere scommetteva sulla possibilità di diffondere, anche fuori dai confini argentini, lo spirito popolare e la potenza espressiva di quella altissima manifestazione culturale ed artistica che il tango rappresenta, e gli ha consentito di essere proclamato ‘patrimonio universale’dall’Unesco. Per anni il Maestro alterna l’attività di canto lirico nei teatri italiani con l’insegnamento del tango argentino, che struttura in modo estremamente ricco di approfondimenti storici e culturali, attraverso stage, corsi, rassegne cinematografiche incentrate sul tango, cicli di lezioni storiche resi unici dalla contaminazione di innesti autobiografici e approfondimenti storiografici. E’ con questo vasto e approfondito repertorio di competenze, con una inesauribile passione per la ricostruzione filologica delle origini e al tempo stesso per la modernità intrinseca del tango che nel 2007 fonda l’Associazione culturale Tango Azul,per valorizzare, promuovere ed implementare la cultura del tango argentino. Oggi Tango Azul rappresenta ancora per Victor Hugo Del Grande l’occasione di mettere al servizio di chi lo desidera una grande esperienza artistica maturata in anni di pratica e ricerca nel campo della musica, del teatro, della danza. Alla pratica costante dell’insegnamento si affiancano oggi le radicate passioni in campo musicale, cui si devono le recenti composizioni di brani inediti di musica popolare argentina in un proficuo connubio artistico con Mariano Speranza, amico ed ispiratore e regista del gruppo musicale ‘Tango Spleen’. Le atmosfere di questa ormai lunga carriera maturata nella storia della cultura argentina si possono avvicinare e ‘respirare’ sia nei corsi di tango che nelle milonghe domenicali organizzate da Tango Azul, luoghi un po’ incantati, dove vale una regola: “​Esibire, ostentare appartengono al mondo della materia. Il tango parla alla dimensione dell'anima, che non conosce il tempo: ci si può fermare durante una pausa in un abbraccio interminabile, mentre si ascolta la frase di un violino o si è colpiti dalla metafora di un testo che ci commuove”.

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