El Filete Porteño II parte

Immagini e frasi tipiche

PUBBLICATO IL 1 Giugno 2018

Le immagini che si disegnavano nel filete portegno sono nate dal mondo dei conducenti dei “carros” e dei camionisti. Erano da loro scelte, con le conseguenti limitazioni alla libertà creativa dei fileteadores: alla fine del lavoro ci voleva l’approvazione del cliente e soprattutto di sua moglie! In realtà gli argomenti e i temi erano tra i più svariati, basta ricordare che il mio amico si era fatto disegnare Beethoven sul cofano della macchina, però c’erano dei temi che si usavano in modo ricorrente, ad esempio:

“La cornucopia”: Il corno dell’abbondanza tratto dalla mitologia greca, riempito di fiori, è un’immagine ideale per il filete portegno.

“Le navi”: generalmente era il disegno preferito dagli immigrati italiani che evocavano la nostalgia per la propria terra e il desiderio di tornare avendo fatto fortuna.

“Il sole”: preso dalla bandiera nazionale, utilizzato in diversi modi. Nell’ambiente dei fileteadores quando il sole era nascente veniva citato con la frase: “El sol sale para todos” (il sole esce per tutti).

“Il teatro”: è un disegno che riprende un palcoscenico con il sipario aperto e sul palco troneggiano le iniziali del proprietario del mezzo.

“La stretta di mani”: un altro simbolo patriottico, i fileteadores lo chiamano: “Los hermanos sean unidos” (frase del poema gauchesco Martin Fierro, i fratelli siano uniti, perché quella è la prima legge).

“I personaggi”: il tema ne comprende di svariati, ma i più usati sono la madonnina di Lujan, protettrice dell’Argentina, e l’immagine del zorzal, Carlos Gardel.

“Le bandiere e i nastri”: si vedono soprattutto sui camion e gli autobus. A parte il significato patriottico, ha permesso a un’intera classe sociale di immigrati, soprattutto italiani, di esprimere il proprio simbolo nazionale e la riconoscenza per la nuova terra che li aveva accolti.

“I fiori”: uno dei temi principali del filete è sempre stato il fiore, generalmente di cinque petali.

“Gli animali”: si è usato di tutto, ma un capitolo a parte meritano gli uccelli, ogni fileteador aveva un uccellino particolare che lo identificava come una firma. Erano uccelli inventati, non necessariamente copia delle specie viste in natura, da questo si deduce che anche il loro canto non fosse tradizionale se non un repertorio immaginario fatto di tangos e milongas. I cavalli furono i primi animali, dal momento che erano stati parte del primitivo carro a trazione a sangue. Si disegnavano quelli di razza creola, più forti, da tiro o quelli da corsa, più stilizzati: quando si vede in un angolo anche un cappello e dei guanti in pelle, stiamo parlando di un “burrero” (aficionado delle corse di cavalli).

“I draghi”: si dice che fu Miguel Venturo il primo a copiare delle immagini di draghi dalla facciata del Teatro Cervantes. Poi i fileteadores diedero il via libera all’immaginazione dei loro pennelli, nel loro ambiente le immagini dei draghi vengono chiamate “los patos” (le papere). A volte venivano deformate per assomigliare a pesci o uccelli.

“Le lettere”: la forma più usata era quella chiamata “esgrostica” che nel linguaggio del fileteador definiva la fusione della lettera gotica con la loro fantasia. Secondo l’aneddoto di un vecchio fileteador derivavano dalle immagini delle banconote argentine, che in quell’epoca erano impresse a Londra. Le lettere gotiche furono adattate all’estetica del filete in una proiezione tridimensionale, che veniva chiamata “repiquè”.

Un capitolo a parte è rappresentato dalle frasi che si trovavano scritte sui mezzi, ma questo è un altro tango.

Ricordo………..Quando il maestro Gerardo Quilici mi raccontò di aver organizzato tanti anni prima un festival di tango, in un paese vicino a Rosario. Era con “El Polaco Goyeneche” nei camerini quando arriva un ragazzo e chiede al famoso cantante perché, nonostante tanto si impegnasse, non gli piaceva il tango.

Fu allora che il “Polaco” sparò la famosa frase: “Il tango ti sa aspettare”. Ricordo quando mio padre si lamentava della situazione politica in Argentina e diceva: “Te afanan hasta el color” (ti rubano persino il colore), frase presa dal tango di Discepolo: “Chorra” (ladra) che recitava “por ser bueno me pusiste a la miseria, me dejaste en la palmera, me robaste hasta el color” (per essere buono mi lasciasti nella miseria, ” sulla palma”(espressione per dire senza soldi), mi rubasti persino il colore). Ricordo la cara maestra Vittoria Colosio a Rosario che, quando vedeva i cialtroni e gli impreparati che imperversavano già da allora, diceva: “Il tango è cosi generoso”… oppure “Ti si sporcano gli occhi”. Ricordo anche che quando vedevi un autobus o un camion “fileteado” con la frase “Cada dia canta mejor” si riferiva a Gardel (ogni giorno canta meglio) o “que me van a hablar de amor” era tratta dal tango di Homero Exposito e H. Stamponi.

Negli anni ‘70 il filete portegno si caratterizzava soprattutto per le frasi e i detti popolari che i clienti facevano dipingere nei carri o sui camion. Uno dei più famosi fileteadores di Buenos Aires, Carlos Carboni, diceva ai clienti: “Tu me lo porti scritto e io te lo dipingo dove vuoi”. Ai fileteadores non faceva impazzire di gioia realizzare questi motti o barzellette nel loro lavoro, che era un’arte popolare tramandata nel disegno e che si doveva interrompere per scrivere delle frasi che a volte facevano ridere solo al cliente. Per questo, la maggior parte delle volte, il fileteador si vendicava realizzando queste frasi con lettere senza grazia o impegno artistico nella ricerca della forma. Generalmente i camionisti facevano mettere il loro nome sul fronte del mezzo e sul retro le famose frasi. Nel libro di Barugel-Rubiò sono raccolte alcune di queste frasi, prese dai camion e carri dell’epoca:

Frase di consiglio: “Si con caldo vas ganando, seguile dando” (se stai vincendo con brodo, continua in quel modo).

Frase di umiltà: “Disculpen, yo soy del campo” (Scusatemi, vengo dalla campagna).

Frase di condotta: “A fuerza de trabajar, el caido se levanta” (a forza di lavorare, chi è caduto si rialza).

Filosofia popolare: “El hombre es fuego, la mujer estopa, viene el diablo y soplaede la chiave (l’uomo è fuoco, la donna stoppa, arriva il diavolo e soffia.)

Frase tanguera: “A tu memoria, maestro” (Alla tua memoria maestro).

Frase di destino: “Yo ando a los saltos como rengo en tiroteo” ( vado saltando come uno zoppo in una sparatoria).

Frase di orgoglio: “Que milonga ni que tango, con esto me gano el mango” ( che milonga né tango, con questo mi guadagno il soldo).

Frase culturale: “Yo se quien es Chopin” ( Io so chi è Chopin).

Frase d’identità: “De Almagro soy la flor, de Pompeya el mejor” ( di Almagro sono il fiore, di Pompeya il migliore).

Frase di sufficienza: “Yo mate al mar muerto” (Ho ammazzato il mare morto).

Frase filosofica: “Para que te vas a matar si vas a morir igual” ( perché ti vuoi ammazzare se comunque devi morire?).

Frase di disprezzo: ” Se doman suegras a domicilio” (si domano suocere a domicilio).

Frase maschilista : “Si su hija sufre y loora, es por este pibe, senora” (Se sua figlia soffre e piange, è per questo ragazzo, signora).

Frase di arroganza: “En la cama de los vivos, este gil duerme su siesta” ( nel letto dei furbi, questo scemo dorme la siesta).

Buon ascolto! ​ Victor

HA SCRITTO PER NOI #
Victor Hugo Del Grande

Il Maestro VICTOR HUGO DEL GRANDE nasce a Rosario, grande città portuale dell’Argentina, attraversata dal Paranà. Insegna tango da tempo, dopo aver dedicato molti anni allo studio e alla pratica della lirica che lo ha portato in Italia, negli anni’90, a cantare come tenore. La sua formazione, in Argentina, è però poliedrica: studia canto e tecnica vocale, ma anche teatro, compone ed interpreta musica popolare argentina e tango. Con la serietà e la passione che hanno attraversato gli incontri con le altre forme d’arte, che hanno affascinato e formato Del Grande, anche l’interesse per il Tango non si riduce alla pur consistente dimensione della danza: tiene insieme l’importanza della tecnica del movimento, la storia, le diverse musicalità, il peso specifico culturale… Con questo bagaglio, questa profondità, e con una personalissima visione della tecnica, Victor Hugo Del Grande nei primi anni ’90 apre a Milano una scuola di tango, quando il Tango non era di moda, ma qualche pioniere scommetteva sulla possibilità di diffondere, anche fuori dai confini argentini, lo spirito popolare e la potenza espressiva di quella altissima manifestazione culturale ed artistica che il tango rappresenta, e gli ha consentito di essere proclamato ‘patrimonio universale’dall’Unesco. Per anni il Maestro alterna l’attività di canto lirico nei teatri italiani con l’insegnamento del tango argentino, che struttura in modo estremamente ricco di approfondimenti storici e culturali, attraverso stage, corsi, rassegne cinematografiche incentrate sul tango, cicli di lezioni storiche resi unici dalla contaminazione di innesti autobiografici e approfondimenti storiografici. E’ con questo vasto e approfondito repertorio di competenze, con una inesauribile passione per la ricostruzione filologica delle origini e al tempo stesso per la modernità intrinseca del tango che nel 2007 fonda l’Associazione culturale Tango Azul,per valorizzare, promuovere ed implementare la cultura del tango argentino. Oggi Tango Azul rappresenta ancora per Victor Hugo Del Grande l’occasione di mettere al servizio di chi lo desidera una grande esperienza artistica maturata in anni di pratica e ricerca nel campo della musica, del teatro, della danza. Alla pratica costante dell’insegnamento si affiancano oggi le radicate passioni in campo musicale, cui si devono le recenti composizioni di brani inediti di musica popolare argentina in un proficuo connubio artistico con Mariano Speranza, amico ed ispiratore e regista del gruppo musicale ‘Tango Spleen’. Le atmosfere di questa ormai lunga carriera maturata nella storia della cultura argentina si possono avvicinare e ‘respirare’ sia nei corsi di tango che nelle milonghe domenicali organizzate da Tango Azul, luoghi un po’ incantati, dove vale una regola: “​Esibire, ostentare appartengono al mondo della materia. Il tango parla alla dimensione dell'anima, che non conosce il tempo: ci si può fermare durante una pausa in un abbraccio interminabile, mentre si ascolta la frase di un violino o si è colpiti dalla metafora di un testo che ci commuove”.

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