E’ un tema di discussione che mi ha sempre appassionato, sia per il mio interesse per il Tango, che mi ha portato a mettere in piedi una vasta collezione di brani che utilizzo quando faccio il DJ, sia per la mia natura che mi spinge a ricercare sempre qualcosa di migliore,
anche da un punto di vista puramente estetico.
Su questo punto peraltro potrebbe aprirsi un lungo dibattito, inutile a mio parere, sia per il noto motto “de gustibus …”, sia per la mancanza di un riferimento assoluto. Ai tempi d’oro del Tango infatti le orchestre si esibivano dal vivo ed ogni sera i brani venivano suonati in modo leggermente diverso, soprattutto per quanto riguardava la velocità di esecuzione. La registrazione dei dischi a 78 giri veniva effettuata in sala d’incisione dove a volte si faceva ricorso anche a strane “alchimie”. Daniel (Dany) Borelli, uno dei migliori DJ di Buenos Aires racconta ad esempio come alla fine degli anni 30 il successo dello stile D’Arienzo portò quasi tutte le orchestre a suonare su ritmi molto elevati (fino a raggiungere le 140 battute al minuto); le orchestre che non riuscivano a suonare con un tale ritmo acceleravano i brani in fase di incisione. Per non parlare di quanto avvenuto successivamente in fase di riedizione o ristampa di vecchi brani: basta scaricare da internet uno stesso brano digitalizzato in occasioni diverse (magari dalla stessa casa discografica) per rilevare enormi variazioni in termini di velocità e/o di tono.
Quindi anche il disco a 78 giri, che nel tango rappresenta comunque il supporto originale, non sappiamo quanto fosse rappresentativo della realtà; i supporti messi in vendita successivamente hanno subito ulteriori manipolazioni, non solo i CD e file MP3 (che hanno richiesto la digitalizzazione del suono) ma anche i vinili e le audio-cassette, che pure vengono utilizzati da alcuni DJ per dare un’area “vintage” e una (falsa) impressione di autenticità alle loro selezioni musicali. Ripensando a questi temi è nata comunque in me la curiosità di capire meglio come siano state prodotte e come siano giunte a noi le registrazioni di brani di Tango che oggi ascoltiamo e che balliamo in milonga e perché la loro qualità, mediamente piuttosto bassa, possa risultare così diversa anche per brani dello
stesso periodo e della stessa orchestra.
Per farlo ho cercato di capirne di più riguardo a come i dischi originali sono stati prodotti e alle modalità con cui successivamente sono stati trasferiti su diversi supporti (principalmente dischi in vinile e CD), immaginando che questi siano stati i fattori che hanno avuto il più forte impatto sulla qualità acustica dei brani.
Etichetta di un disco a 78 giri della
Victor registrato nel 1929.
La RCA Victor produsse i dischi
dell’Orchestra Tipica Victor
(ovviamente), D’Agostino, Troilo (dal
1939), Di Sarli, Donato, Lomuto (dopo
il 1931), D’Arienzo, De Caro (nel 1943
e 1944), Fresedo, Laurenz (fino al
1943), Tanturi (dopo il 1940), Firpo
(nel 1944) e Pugliese
La registrazione dei dischi
Escludendo le primissime registrazioni, che hanno un valore soprattutto storico, e quelle moderne (dagli anni 60 in poi) per cui il problema della qualità audio non si pone in termini così drammatici, possiamo dire che quasi tutti i brani suonati in milonga sono stati registrati nel periodo che va dal 1925 al 1955; questo arco di tempo comprende anche la cosiddetta “età d’oro” del Tango (1938-1945, grosso modo) durante la quale furono registrati quasi tutti i brani più belli e, soprattutto, quelli più ballati nelle milonghe.
Durante questo periodo le tecniche di registrazione non sono cambiate in modo significativo per cui possiamo considerare che per tutte valgano le stesse considerazioni.
[1] La registrazione avveniva “in presa diretta” in sala d’incisione con l’ausilio di microfoni e amplificatori (la registrazione elettrica fu introdotta nel 1925); mentre l’orchestra eseguiva il brano, un particolare tipo di tornio effettuava la “fonoincisione”, cioè trasformava il suono in sottili incisioni fatte con solchi ondulati su un disco di cera rotante. In quel periodo infatti non esisteva nessun altro sistema per registrare i suoni; solo a partire dagli anni 60 fu possibile disporre in sala di incisione di registratori a nastro magnetico multi-traccia di altissima qualità che consentivano di registrare separatamente i vari strumenti (e soprattutto la voce) per produrre poi una registrazione “master” in cui i vari canali erano opportunamente “miscelati” e che poteva essere usata successivamente come sorgente audio per il fonoincisore.
Successivi passaggi trasformavano immediatamente (o appena possibile) il delicatissimo disco di cera in un supporto via via sempre più resistente e di cui potevano essere riprodotti più esemplari: il disco di cera diventava un disco “padre” da cui venivano generate alcune “madri” che a loro volta
generavano le matrici (stampi) utilizzate per la produzione in serie dei dischi in gommalacca.
La complessità del processo era dovuta al fatto che questi supporti, in nichel o rame, si deterioravano comunque con l’uso per cui risultava opportuno produrne più esemplari e conservarli nel caso fossero richieste, anche in futuro, altre copie. Sicuramente veniva conservato il padre, che rappresentava la vera copia “master”, visto che il disco in cera andava subito distrutto dal processo stesso di lavorazione, e che poteva servire, eventualmente, per
costruire nuove “madri”. Le matrici “madre” invece potevano produrre altri stampi (da cui ricavare nuove copie del disco) ma potevano anche essere ascoltate e registrate (si noti come delle varie matrici solo la “madre” è ascoltabile, le altre infatti rappresentano un “negativo”
del disco, hanno cioè rilievi dove il disco presenta solchi).
[3] I dischi in gommalacca a 78 giri consentivano di riprodurre i suoni nella banda di frequenza 100–5,000 Hz, limitazione dovuta al sistema di amplificazione, a quello di incisione e alle caratteristiche del materiale usato; i dischi in gommalacca erano pesanti, fragili e con una superficie che generava un fruscio molto più forte di quello dei dischi in vinile. Si trattava comunque di un bel passo in avanti rispetto agli anni precedenti (prima del
1925) quando con la registrazione meccanica la banda era 168–2,000 Hz. [4] Con i dischi in vinile, che apparvero all’inizio degli anni 50 e sostituirono progressivamente i dischi a 78 giri (che rimasero comunque in commercio nei primi anni 60 in Asia e Sud America) la gamma di
frequenze diventerà di 20–20,000 Hz, per arrivare poi a 20–44,100 Hz con l’avvento del
digitale (CD).
[2] Un modello di “fonoincisore” usato negli
anni ’70. In questo caso l’ingresso era
rappresentato da un nastro magnetico. Chi
fosse interessato al processo di produzione
dei dischi in gommalacca o vinile può
guardare un bellissimo video su YouTube
Anche se numerose etichette hanno prodotto brani di Tango nel corso degli anni, nel periodo d’oro ci furono due case discografiche che insieme avevano sotto contratto la quasi totalità delle orchestre famose (alcune incisero con entrambe le etichette in periodi ovviamente diversi della loro carriera): la RCA Victor e la Odeon.
Altre etichette minori (Brunswick, Columbia, Electra,Atlanta, Splendid) furono presenti solo in periodi precedenti (fino al 1932), o in modo marginale (es. la Pampa che produsse i dischi di Laurenz a partire dal 1944).
A partire dagli anni 50 entrarono nel mercato alcune nuove case discografiche (Music Hall e T.K.) che divennero però famose soprattutto per la scarsa qualità dei loro dischi e per la poca cura mostrata nella conservazione delle matrici. Questo spiegherebbe perché la qualità di molti brani degli
anni 50 appare peggiorata rispetto a quella dei brani registrati negli anni precedenti.
L’etichetta di un disco a 78 giri della Odeon. La Odeon produsse i dischi di De Angelis, Troilo (nel 1938), Domingo Federico, Rodriguez, Canaro, Lomuto (fino al 1931), De Caro (fino al 1942), Demare, Calò, Tanturi (fino al 1938), Biagi.
Il “fattaccio”
All’inizio degli anni 60 avvenne un fatto che sembra abbia avuto un forte impatto sulla qualità delle registrazioni che sono giunte fino a noi e spiegherebbe anche, almeno in parte, perché la qualità audio delle registrazioni sia così variabile. [6] [7] [9] Nel 1962 la più importante industria discografica argentina, la RCA Victor, nominò come direttore artistico Ricardo Mejía, un manager ecuadoregno che, un po’ per convinzione personale e un po’ per ordini ricevuti dall’alto, preso atto dell’evidente e inesorabile declino del Tango in tutte le altre parti del mondo, decise di “voltare pagina” e di promuovere con grande impegno un nuovo genere musicale ritenuto più moderno e allegro e più adatto ad un pubblico
giovane. L’operazione riuscì ma portò, purtroppo, alla distruzione di quasi tutte le matrici dei dischi di Tango che erano conservate nel magazzino della RCA. [10] Secondo alcuni la decisione fu dovuta alla necessità di fare spazio al materiale relativo alle nuove registrazioni, altri invece la legano alla necessità di liberare l’area in cui sorgeva il magazzino per poterla poi vendere. Di certo sembra che molte matrici dei dischi di Tango (e soprattutto di folclore) vennero distrutte e che anche la Odeón in seguito prese una decisione analoga.
Anche se l’obiettivo dell’operazione sembra sia stato puramente commerciale, non si escludono influenze socio-politiche [5]. Secondo alcuni si trattò di un vero e proprio attacco alle tradizioni dell’Argentina, nel tentativo di imporre modelli culturali diversi e che fu seguito infatti da altre restrizioni applicate nel mondo del Tango, come il licenziamento in massa di musicisti, cantanti e autori o la revoca della libertà di trasmettere brani via radio. Con la fine del Peronismo (periodo terminato con il colpo di stato del 1955) iniziò infatti in Argentina una lunga fase caratterizzata da colpi di stato e dittature militari che si rifacevano al modello economico americano.
Un raccoglitore per matrici di dischi.
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